Lo scrittore americano Kurt Vonnegut è morto la notte scorsa a Manhattan, dove viveva, per le conseguenze di una caduta di alcune settimane fa, che gli aveva causato danni cerebrali irreversibili.
Innumerevoli i riconoscimenti e i premi tributatigli nel corso della sua vita, comprese alcune lauree ad honorem. Vonnegut, che era nato da una famiglia di origine tedesca, aveva una formazione antropologica e per anni aveva mantenuto rapporti con il mondo accademico, tenendo tra l'altro corsi di scrittura creativa all'università di Harvard. Romanziere, poeta, saggista e polemista, con una scrittura dai molti codici e dai molti livelli, era stato spesso paragonato a Mark Twain, verso il quale, del resto, nutriva una passione dichiarata. Vonnegut sapeva unire i toni vernacolari e quelli ispirati del bardo metropolitano, sempre temperandoli di ironia gentile anche quando toccava le corde del sarcasmo amaro o quando - anzi soprattutto - si rivolgeva agli scrittori di fantascienza, che affettuosamente chiamò "figli di puttana", perché sono tra i pochi a interessarsi sinceramente del futuro, della sorte dell'ambiente in cui viviamo e della guerra considerata come un disastro assoluto.
Le Edizioni E/O lo ricordano per la raccolta di saggi Divina idiozia. Come guardare al mondo contemporaneo. Ecco un passo dal libro:
"Anni fa ho lavorato per la General Electric a Schenectady e , accerchiato com’ero da macchine e da idee per macchine, non ho potuto far altro che scrivere un romanzo che parlasse di persone e di macchine, e in cui spesso le macchine avevano la meglio sulle persone, come del resto capita nel mondo reale. E’ stato allora che i critici letterari mi hanno informato del fatto che ero uno scrittore di fantascienza. Non lo sapevo mica. Pensavo di aver scritto un romanzo sulla vita, sulle cose che mi toccava vedere e ascoltare a Schenectady, una città più che reale, un’inquietante presenza nel nostro quotidiano già tanto spaventoso. Da allora mi hanno fatto entrare a forza in un cassetto etichettato “ fantascienza”, e adesso vorrei tanto uscirne, soprattutto perché molti dei critici più rispettabili scambiano spesso questo cassetto per un orinale.”