Lettera aperta agli aspiranti scrittori
Il fair play di Giovanna Bentivoglio, editor di narrativa italiana
Pensando alle pile di manoscritti in attesa di essere letti e vagliati, e alle aspettative alle speranze che si profilano sotto le sembianze di una celeste assunzione nel cielo del successo si è presi da sentimenti di simpatia e di ansia che tengono conto del percorso a ostacoli che gli aspiranti scrittori hanno alle spalle e dell’immaginario radioso futuro che non cessa di lampeggiare nei loro sogni. E’ un sogno che merita tutto il rispetto e l’impegno da parte di chi opera nel campo dell’editoria che, da parte sua mette, specie nel campo delle imprese editoriali di calibro medio, ben lontane dallo spiegamento di mezzi e dalla magnitudine economica e mediatica delle superpotenze editoriali, una passione e una accettazione dei rischi, una cura individuale e un impegno collettivo non solo finanziario ma anche umano e culturale degno del medesimo rispetto.
Ci si fronteggia dunque sui bordi di uno stesso campo, in una sfida che può e deve essere condivisa e accettata e nello spirito di un impegno comune, leale, valoroso in cui la partita non è tanto il numero di copie vendute, o l’accesso allo scintillio della ribalta mediatica, che contano ma rappresentano valori effimeri o strumentali, quanto piuttosto nel cercare di individuare, coltivare e promuovere una nuova leva di scrittori capaci di esprimere e rappresentare lo spirito del tempo presente e di diffondere nei lettori il significato la cifra e l’esperienza di vita di una generazione, un insieme di valori capaci di dare un contributo nuovo, autentico diversificato e plurale alla cultura del nostro paese. E’ un contributo vitale di cui ogni tempo ha bisogno per interrogarsi e crescere a partire da un atto di identificazione.
Questa delicata, impegnativa e fondamentale operazione di scelta vicendevole e di mutuo riconoscimento rappresenta, a parer nostro, un gesto carico di implicazioni. Proprio perciò è importante affrontare con consapevolezza e senso di responsabilità il primo passo. Capita per esempio che un manoscritto presenti alla prima lettura elementi di interesse, originalità qualità che lo estraggono dalla massa diciamo così inerte, amorfa e lo portino all’attenzione più dettagliata e accurata dell’editore il quale valuta una serie di altri elementi collaterali: c’è la qualità, è originale , è scritto bene ma è in grado di suscitare interesse, coinvolgimento di rappresentare qualcosa che sta oltre il perimetro personale autobiografico dell’autore? Forse c’è. Forse, se attentamente rielaborato, se corretto qua e là, queste qualità ci sono...Dalla lettura che ne fanno altri collaboratori della casa editrice si decide che il manoscritto vale e si interpella a questo punto l’autore. Ma questa operazione di vaglio contiene già in prospettiva un impegno a seguire, consigliare, indirizzare un autore esordiente su un percorso comune, condiviso, che non tutti sono disposti a mettere nel conto, e a portare avanti in un patto che ha come finalità la crescita comune.
Accade a volte che l’autore in questione al momento del contatto venga preso da una sorta di giustificata euforia: ha avuto la conferma che non osava sperare, è contento e anche l’editore se ne compiace. Ma curiosamente questa euforia, in alcuni casi dà luogo a una sorta di corto circuito. L’autore ritiene che varcata la soglia della prima conferma sia già proiettato nella fama e dunque consideri che l’essersi proposto a quell’editore particolare abbia solo il valore di un ballon d’essai e parte senz’altro alla carica. Ora può proporsi sul mercato, lanciare l’asta al miglior offerente, perché no? Verificare quanto il suo libro sia capace di scatenare una gara tra contendenti. NON E’ COSI’ CHE STANNO LE COSE.
Un editore soprattutto se rischia in proprio, soprattutto se vive con passione e impegno il proprio lavoro e ne assume la responsabilità, il senso della missione, non è disposto a servire da puro strumento di riscontro e consentire che sul proprio buon nome, frutto di un lavoro e di un impegno annoso, si lanci una gara che in definitiva e preliminarmente in pratica lo estromette dal gioco. Signori, un po’ di fair play! Non si stanno vendendo salami o lavatrici, mica è un’asta pubblica! Allora: se è comprensibile, legittimo che un giovane ( ma anche un ex-giovane) aspirante scrittore faccia circolare il suo manoscritto, non è necessario che nel momento in cui viene contattato da un editore al quale si è proposto si serva apertamente, brutalmente, dell’esito positivo che l’editore gli sta offrendo per dirgli: ok, adesso questa tua lusinghiera offerta la utilizzo come credito per propormi ai tuoi concorrenti, se poi tu sei interessato, rilancia una posta più alta e ci vediamo alla prossima mano di poker. Tu intanto che faccio questo giro di carte, stai fermo lì in attesa paziente e trepida mentre io mi do da fare con il tuo biglietto da visita ( che è costato lettura da parte di tre o quattro persone, una mezza mattinata di riunioni, una attenta valutazione e infine la scelta), e mentre tu fai tecnicamente “il morto” vediamo chi si aggiudica la partita insieme a me.
Ora immaginate che un ragazzo, o una ragazza, si proponga e dall’altra parte gli o le venga risposto: Bene, vedo che ti piaccio. Non ero per niente sicuro (a) di valere qualcosa ora che lo sono vediamo se qualcun altro(a) è disposto a mettersi con me. Ciao ci si vede uno di questi giorni.”
Mettiamola così: non ci si può lamentare del mercato come di un orco cattivo e senza cuore, condannarlo senza se e senza ma e poi al momento opportuno utilizzare nel modo più smaccato e spensierato il principio più basso del mercato….o no?
Ripetiamo: signori, please, un po’ di fair play!....
Allora ricordiamoci che la scelta e’ mutua e responsabile, che va attuata nel segno del reciproco rispetto e con un minimo di buone maniere.