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L'editor come ostetrico - Claudio Ceciarelli e il lavoro editoriale

Claudio Ceciarelli, editor di Edizioni e/o, terrà sabato 8 novembre una lezione sul lavoro editoriale nell’ambito di GET UP! • Svegliamo l’editoria, una manifestazione realizzata dall’associazione culturale Riga Quarantadue in collaborazione con i Laboratori dal basso. Sarà possibile incontrarlo anche venerdì 7 alle 19,30 alla Nuova Taverna del Maltese di Bari (via Nicolai, 67) per uno degli eventi OFF della manifestazione.

Lo abbiamo intervistato per chiedergli in cosa consista il lavoro dell’editor, quello che gli autori temono ma che si rivela fondamentale per la pubblicazione di un libro curato e in grado di tener fede all’imprescindibile ‘patto narrativo’ fra autore e lettore. 

In base alla tua esperienza, in che percentuale un libro pubblicato è frutto di editing? Al di sopra di quale soglia di editing necessario non vale la pena di pubblicare un libro?
Non vale! Queste sono due domande in una…
Stando alla logica semplificatrice dei numeri e delle percentuali, direi che un libro è frutto di editing in una percentuale oscillante tra il 20 e il 40%. E che al di sopra del 50-60% non vale la pena pubblicare un libro. Ma questi sono meri dati statistici.
Dopodiché, dimenticate quanto ho appena scritto. Potreste trovarvi di fronte a un manoscritto che si può mandare in stampa praticamente come vi è stato consegnato (editing pari al 5-10%, ma se lo mandaste in stampa così com’è nessuno avrebbe nulla da ridire), come pure potreste trovarvi di fronte a un manoscritto con un’idea fortissima che richiederebbe però l’85% di editing e mesi di lavoro, ma voi, semplicemente, lo rimandate al mittente spiegandogli cosa c’è che non va e attendete fiduciosi la seconda stesura. Se arriva, bene, parliamone. Se non arriva, ciccia.

Quali sono le maggiori difficoltà da affrontare nel convincere l’autore ad apportare una modifica al suo testo?
Sono sempre e comunque di natura psicologica. Un editor deve instaurare un rapporto di fiducia con l’autore/autrice, solo sulla base del quale potrà permettersi di proporre tagli, aggiunte e quant’altro. Se manca la fiducia nell’editor, è come se un autore si trovasse in una sala operatoria pronto ad essere aperto per una banale operazione di appendicite, e vedesse il chirurgo che lo deve operare con le unghie nere e la barba sporca di sugo rappreso. L’immagine è forte ma non sto esagerando. La fiducia è tutto. Qui faccio un inciso: io non appartengo alla categoria di editor (perlopiù scrittori mancati) che riscrivono, io se qualcosa non va faccio riscrivere all’autore, senza mai sostituirmi a lui, sulla base appunto di un rapporto fiduciario che non prevede mai l’inversione dei ruoli.

Quali sono le nuove tendenze della narrativa? L’Italia è alla pari con la narrativa estera, per esempio con quella statunitense?
E che domande sono queste? Ma fatele a Colasanti & company. E poi? Che vuol dire ‘alla pari’? Qualità media [e chi la stabilisce?]? Numero di uscite di esordienti [i mercati sono troppo diversi per qualità e quantità]? Generi letterari battuti dagli scrittori? [c’è sempre di tutto un po’]. No, fidatevi, con la categoria ‘alla pari’ non andiamo da nessuna parte. Casomai, una cosina rispetto alle tendenze – per la mia personale esperienza – la posso dire: con gli anni sono diminuiti i romanzi intimisti e basati sul ‘bello stile’, e sono tremendamente aumentate le sceneggiature mascherate da romanzo, quelle tutto dialogo e in cui l’autore non parla al lettore (lasciandogli uno spazio personale per farsi una propria idea sulle situazioni narrate), ma al direttore della fotografia, allo scenografo, al costumista… Quando non – orrore! – direttamente al produttore.

Quali competenze sarebbero necessarie per svolgere il lavoro dell’editor?
Intanto, perché ‘sarebbero necessarie’, e non: ‘sono necessarie’? Chiedereste mai a un carpentiere quali conoscenze ‘sarebbero necessarie’ per costruire un palazzo? Quello vi manderebbe subito a quel paese, a buon diritto.
Poi, certo, ogni editor ha le sue idee in proposito.
Le mie sono tre:
1. aver letto tantissimo (e possibilmente non aver mai desiderato scrivere un romanzetto tutto mio);
2. conoscere a memoria i dialoghi platonici su Socrate in cui si parla dell’ars maieutica e del sapersi mettere davvero e fino in fondo al servizio dell’altro-da-sé, sulla base del conosci te stesso;
3. avere una forte attitudine all’ascolto, all’empatia, alla capacità di entrare nella mente dell’altro per capire cosa veramente vuole. Non è poco, credetemi.