(...) IN QUESTA DINAMICA, non a caso, ciò che resta dell’agire politico si trasforma in moralismo pseudo-umanitario. Qualcosa del tipo: «accoglieteci poiché veniamo prima degli altri e, come tali, possiamo rivendicare la nostra primazia. Soprattutto in quanto abbiamo il primato assoluto della sofferenza». In virtù di un tale presupposto, per certuni si tratta di dichiarare che devono stare fuori i palestinesi (un popolo che non esiste se non come sembiante di un qualcosa che non è mai stato). Oppure, per gli altri, di sancire la mostruosità d’Israele (una società che il ventre del «colonialismo» non avrebbe mai dovuto partorire). Rispetto all’una e all’altra collocazione, si producono interdizioni a ripetizione. Che non servono per cercare di capire bensì per cristallizzare il pensiero. Lo si fa da sempre nella destra illiberale. In fondo, un tale modo di comportarsi è l’essenza stessa del suo modo di pensare il mondo e le relazioni sociali. Lo si sta facendo, ad oggi, anche nelle sinistre.
In tale senso, il volume collettaneo a cura di Bruno Montesano, Israele-Palestina. Oltre i nazionalismi (e/o, pp. 103, euro 10), si muove invece tra voci diverse, spesso discordanti, faticando, con grande onestà intellettuale, a farne non tanto un inerte repertorio, un regesto di circostanza, bensì uno sforzo di interpretazioni incrociate. Tutto lo pseudo-dibattito tra parti contrapposte si ammanta peraltro di queste premesse, ripetute all’inverosimile, come se fossero indubitabili articoli di fede. Chi studia da sempre un tale stato di cose, senza farsene da subito travolgere emotivamente, conosce benissimo i meccanismi che entrano in gioco. Una sorta di concorrenza tra contrapposte legittimità. Le quali sussistono ideologicamente, e poi concretamente si danno, in quanto dicono di esistere per una sola ragione, quella di negare la controparte che, a sua volta, nel mentre, si esercita nel medesimo, speculare sforzo. Ancorché capovolto. Un gioco apparentemente a somma zero, dove però vince – e vincerà – solo ed esclusivamente il più forte. Tale non perché ha maggiori «ragioni» bensì perché ha per sé le migliori risorse.
Il conflitto tra israeliani e palestinesi è infatti una sorta di cartina di tornasole dell’intero Novecento. Ne ripete, in una sorta di autismo politico, le aporie, le contraddizioni, le fallacie. Anche per questo dura nel tempo. Per arrivare fino ai giorni nostri. Ci consegna quindi, in un unico quadro di riferimento, l’inconfessabilità di fragili utopie così come di trascorse speranze, quindi di inganni e tranelli, di raggiri e trappole. Dove la radice di molte disillusioni, ad oggi, è soprattutto il declino e la conclusione delle appartenenze nazionali dentro la cassaforte del particolarismo sovranista ed identitario. (...)