Da qualche parte un libro deve iniziare, e questo inizia da qui», lo scrive Ruth Ozeki, autrice e regista americano-canadese nel suo ultimo romanzo Il libro della forma e del vuoto, appena pubblicato in Italia da edizioni e/o con la traduzione dall'inglese di Tiziana Lo Porto e presentato ieri al Salone del Libro. Il romanzo si apre con un libro che parla e oggetti che parlano, perché «le cose parlano di continuo, ma le tue orecchie non sono sintonizzate, devi imparare ad ascoltare». La genesi del libro, racconta Ozeki, nasce proprio da lì: «Come prima cosa mi è venuto in mente il personaggio di Benny, un tredicenne che perde il padre in un incidente. Vive un grande trauma e risolto quel trauma inizia a sentire delle voci; non capisce esattamente cosa dicano, ma riesce a percepirne le emozioni, a volte piacevoli, a volte piene di dolore. Come scrittrice do voce ai miei personaggi, ai libri, alla mia immaginazione, e tutte queste voci sono nella mia mente, come per Benny. Poiché ci sono molti modi diversi di dare e sentire voci, come narratore ho voluto che questo libro narrasse a sua volta. La voce narrante non è onnisciente come avevo pensato quando ho cominciato a scrivere, perché a dare la voce è un libro, gli oggetti, che sono a loro volta personaggi e hanno diverse voci, diversi punti di vista». (...)