Recensione del film Amabili resti (The Lovely Bones)
Autore: Emilio Masina
Testata: Facoltà di Psicologia 1 La Sapienza Roma
Data: 11 novembre 2008
Il film drammatico, bello e terribile, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Alice Sebold, può essere letto come una grandiosa allegoria di tutti gli stati cosiddetti limite; dimensioni intermedie e di transito fra la normalità psichica e la patologia, fra il sogno e la veglia, fra l’infanzia, l’adolescenza e l’adultità. Dimensioni di cui facciamo esperienza con la coda dell’occhio e della mente, perché sono transeunti e incostanti, difficilmente afferrabili nel loro continuo mutamento. Aree che sfuggono all’inquadramento del pensiero logico dividente e si aprono, invece, al pensiero simmetrico e omogeneizzante, caratteristico del modo di essere inconscio della mente. E’ questo un film, che, al tempo stesso, rientra nella tipologia del thriller e se ne discosta, per assumere le caratteristiche visionarie e perturbanti di un horror: che seduce con la bellezza della fotografia e la bravura degli attori ma mette in contatto con zone profonde dell’ essere, solitamente poco esplorate e frequentate. Insomma, è un film che fa commuovere, rabbrividire di paura e di rabbia, e persino sperimentare sentimenti di tenerezza, affetto, sollievo e consolazione. Non solo e non tanto per la trama che propone, una giovane ragazza violentata e uccisa da un assassino seriale che, in una zona di confine fra la terra e il cielo, continuerà ad assistere agli avvenimenti che seguono la propria morte; ma, piuttosto, per la capacità di evocare e costruire nella relazione con lo spettatore un clima affettivo-emotivo di incertezza, di continuo passaggio fra registri diversi, in cui sensazioni epidermiche, emozioni, fantasie e ragionamenti si susseguono, si scontrano e si sovrappongono fra loro. Lo spettatore piange, si dispera, si rianima, godendo per i paesaggi meravigliosi proposti da Peter Jackson, il regista del Signore degli anelli e, nello stesso tempo, pensa alla complessità della relazione con i propri figli, genitori e fratelli, alla propria morte e ad un ipotetico aldilà, alla vita dei propri cari senza di lui, al destino, all’esistenza o alla non esistenza di Dio; cioè ad una serie di questioni, conosciute ma non abbastanza pensate, che il film sollecita ad appronfondire e a metabolizzare perché rappresentano ingredienti inquietanti ma vitali che la vita sempre ti propone.
Lo stato limite più importante rappresentato dal film è quello fra l’infanzia e l’adolescenza. La famiglia piccolo-borghese, che sarà attaccata dall’orco, vicino di casa, ci viene presentata, già nelle prime sequenze, con il tocco leggero e allusivo del regista, nelle sue principali caratteristiche: una coppia di genitori, ancora giovani ma ormai immersi in un logoro tran tran; tre figli, fra loro poco in comunicazione e, soprattutto, un legame fra il padre e la figlia maggiore tenero e affettuoso ma ormai troppo soffocante per le esigenze di crescita della ragazza. Susie, la quattordicenne interpretata magnificamente da Saoirse Ronan, immagina di essere come il pinguino nella cupola di vetro con la neve artificiale che fa da soprammobile in salotto: immersa in un ambiente ristretto e controllato, come se fosse ancora un bambino costretto a vedere la vita attraverso un cristallo infrangibile. Ma il padre intercetta il suo sguardo sconsolato e cerca di rassicurarla: il pinguino non sta male, anzi: egli vive in un mondo perfetto, dove regna la quiete e l’armonia. Un’altra metafora della prigionia di Susie è quella dei velieri in bottiglia costruiti, come hobby, dal padre. Il veliero appena completato invece che issare le vele per affrontare il mare aperto e periglioso, viene intrappolato per sempre da un uomo troppo fragile e bisognoso per lasciarlo salpare.
Nessuno si accorge dei bisogni della ragazza di essere accompagnata verso l’adolescenza se non due figure inaffidabili: la nonna materna, superficiale e alcolista, e il maniaco, eccitato dalla esuberanza di Susie e dal desiderio di lei di cogliere aspetti nuovi del mondo attraverso la sua macchina fotografica. La fine tragica di Susie testimonia l’impossibilità di portare a termine i compiti evolutivi che la vita le propone di affrontare: fare il lutto della bambina meravigliosa che è stata, separarsi dalla nicchia primaria e trovare un ragazzo, un oggetto d’amore non incestuoso. All’appuntamento con il compagno di scuola sotto il gazebo, si sostituirà, purtroppo, quello con l’assassino: una sorta di doppio del padre di Susie, che trasformerà la tenera possessività e la protettività di lui in una intrusività bestiale e distruttiva, che porta all’annientamento dell’altro. La proposta del maniaco a Susie di precederlo per inaugurare la taverna sotterranea, scavata nel campo per intrappolarla è formulata in modo da intercettare il bisogno di Susie di non tornare a casa dalla scuola ma di esplorare nuovi mondi e opportunità: l’uomo si propone come compagno adulto che la guiderà in un eccitante percorso di iniziazione all’adolescenza, inaugurare lo spazio per un club dove i ragazzi del quartiere possano ritrovarsi insieme, fuori dal controllo delle famiglie; ma quando la botola si chiude sulla sua testa Susie si accorgerà, con angoscia, che le bambole e i giochi che arredano il luogo sono quelli della sua infanzia e che il suo liberatore è, al contrario, un terribile aguzzino che, come un padre autoritario, comincia a vietarle ogni movimento perché “deve comportarsi bene ed essere educata”.
Nemmeno la morte libererà Susie dal suo stato acerbo e impotente: la ragazza rimane intrappolata in una zona di confine, un mondo che non è regolato dalle leggi del tempo e dello spazio, e che è popolato dai resti dei suoi legami infantili - i giganteschi galeoni in bottiglia che si sfrangono contro gli scogli della spiaggia - e dalle fantasie sui legami adolescenziali che non potranno mai inverarsi, come quella sul gazebo dove il ragazzo è andato ad aspettarla, che Susie non riesce a raggiungere perché è circondato da un’infida palude e, infine, si sgretola e sprofonda in un buco nero. Susie non può accettare di raggiungere le altre ragazze uccise dal maniaco in Paradiso perché è invasa da un’ acuta nostalgia per il legame affettuoso con il padre che non può in alcun modo tollerare la sua scomparsa, dalla rabbia nei confronti del suo assassino ma soprattutto dall’avida curiosità per ciò che avrebbe potuto realizzarsi e che, invece, è stato impedito. E può vivere il primo bacio con un ragazzo, la crescita di una relazione sentimentale che porta alla gravidanza e alla maternità, solo immedesimandosi con una ragazza sensitiva e poi con la propria sorella che, infine, la vendicherà, costringendo l’assassino alla fuga, incontro alla morte.
Quando si riesce a superare lo shock emotivo che è stato suscitato, evocando e scompigliando le emozioni più profonde, si scopre un film intenso, intelligente e sensibile, che offre molteplici possibilità per identificarsi e riflettere sull’umano destino.