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Ferrante: sono due le regine di Napoli

Autore: Angelo Guglielmi
Testata: La Stampa / tuttolibri
Data: 26 novembre 2011

In passato ho molto apprezzato Elena Ferrante non tanto per la sua volontà di rimanere clandestina (che pure è un merito) ma per la sua scrittura così sorprendentemente capace di trasformare le evidenze in segreti. Ne L'amica geniale decide di raccontare una storia di condominio o, più esattamente, di un piccolo quartiere napoletano così piccolo che tutti i residenti si conoscono come se l'uno abitasse sotto la casa dell'altro. E' un quartiere povero e disgraziato in cui si raccolgono alla rinfusa scarpari (calzolai), falegnami, fruttivendoli, una vedova pazza, un usciere, un salumaio e un pasticciere. Dunque un quartiere senza una precisa vocazione sociale, dove si vive come si può (in genere nella miseria) salvo per chi è lesto di mano e sa far tesoro delle convenienze (sempre illecite). Che cosa avviene in un quartiere del genere si sa ma Ferrante ce lo vuole raccontare lo stesso. Solitudine, dispettosità, qualche volta odi inconsumabili (fino al delitto), ignoranza (i figli non vanno oltre la quinta elementare o addirittura la terza con padri e madri all'unisono: devi andare a lavorare e aiutare la famiglia!), piccole invidie per un paio di scarpe più nuove, morte improvvisa di mariti con il seguito di vedove che non sanno più come tirare avanti e impazziscono, competizione tra i giovani per chi ha la fidanzata (o fidanzato) più bella (in genere meno brutta) e comunque gara per chi è più forte e la vince (il massimo è confrontarsi sulla quantità e la pericolosità dei fuochi da accendere e sparare la notte di Capodanno). Questo (e altro di simile) più o meno si sa ma c'è qualcosa che non si sa (davvero di inaudito) che la Ferrante mette al centro del suo racconto. Quello che non si sa è la presenza nel quartiere di due bambine straordinarie, la figlia dello scarpaio e dell' usciere, così intelligenti e pronte da acquisire ancora adolescenti una maturità improbabile anche negli adulti. Sono diverse e uguali: una va a scuola (contro l'opposizione dei genitori e grazie alla mediazione della maestra) ed è bravissima: tutti 10 (ma si usa?) agli esami di V ginnasio; l'altra non va a scuola (non è riuscita a superare il no dei genitori) ma non ne ha bisogno e da sola, studiando segretamente su squinternate grammatichette che non si sa dove ha trovato, finisce per sapere di latino e di greco più dell' amica che va a scuola. Tra le due amiche (tra Lelù e Lilà - sonorizzazione onomatopeica di una partita di pingpong) inizia una competizione serrata in cui ciascuna cerca di carpire all'altra quel che ha e le invidia: Lelù la maggiore conoscenza della vita, Lilà (senza confessarselo) la scuola. In fondo sono due ragazze (il tempo passa rapidamente) concrete e ragionevoli e sanno che la scuola se produce solo nozioni senza l'allargamento del cervello non porta a niente ma anche che la naturale disponibilità a capire senza un regolare corso di studi (dunque senza la scuola) è altrettanto insufficiente. E infatti così accade: accade che Lelù studiando riesce a uscire dal quartiere e mettersi alle spalle quel buco nero che il quartiere rappresenta; Lilà nel buco nero rimane anche se nel ruolo di regina. Ovviamente il romanzo arriva a queste conclusioni attraverso uno svolgimento ricchissimo di situazioni suggestive, raffinati passaggi psicologici, di svolte sorprendenti, eventi coloratissimi. Quel che manca, e gli altri romanzi della Ferrante avevano, è il non detto nascosto nel detto, gli impedimenti che arrestano la prospettiva facendo balenare il vuoto dell' ignoto. Aspettavamo che una qualche pagina del romanzo impazzisse facendoci perdere le tracce che avremmo ritrovato più in là, molto più in là. Peraltro siamo compensati da una prosa lineare e pulita che ci aiuta a una lettura continua, senza arresti e pentimenti.